Sei strategie per umanizzare il brand

Sei strategie per umanizzare il brand

Negli ultimi anni si stanno affermando strategie pubblicitarie e di comunicazione meno retoriche e sempre più legate al contatto con il pubblico.

Il business meeting partecipa alla comunicazione di brand
La comunicazione di marca sta cambiando. E’ un’onda lunga che parte da lontano e che diventa più “ripida” negli ultimi anni. Mentre da una parte l’utilizzo del web ha sconvolto molte prassi consolidate, dall’altra è cresciuta l’importanza del meeting (un tempo cenerentola della comunicazione) come luogo dove le persone si incontrano e la comunicazione è più diretta, concreta, fisica. Il meeting interpreta il tipo di comunicazione di cui si sente il bisogno. Un bisogno di bilanciare il virtuale col reale? Così pare.

In ogni caso le aziende di marca hanno ben compreso che per la comunicazione di brand l’obiettivo decisivo è di rendere la marca più concreta e umana, più “vicina” alla vita dei consumatori e davvero significativa per loro.
In questa direzione queste sei strategie si stanno dimostrando efficaci e si rivelano interessanti nel nostro contesto perché ognuna di esse può contribuire a dare la linea a un meeting, suggerirne i contenuti, imprimere concetti forti nella equity rappresentandoli plasticamente nel corso del meeting. Con una parola d’ordine forte: umanizzare.

Sei strategie per umanizzare il brand

1. La narrazione della storia dell’azienda
La prima strategia è l’ormai dilagante storytelling, che dà spessore e fascino e spesso è utilizzato anche per sottolineare le “motivazioni” nobili e gli ideali dei padri fondatori. Il racconto della storia e della visione da cui è nata la azienda dà umanità all’attuale presenza sul mercato e trasmette sotto traccia un messaggio prezioso per acquisire la fiducia del consumatore: che l’azienda non è nata solamente per “fare soldi”. La crisi ha generato nei consumatori un forte sospetto sulla pubblicità “di immagine”, centrata sulla promessa che “puoi fidarti di me, perché conosco i tuoi desideri e i tuoi sogni e so come soddisfarli”, oppure sulla offerta di simpatia e gioco per cui “ se ci divertiamo assieme allora siamo amici e quindi vieni pure da me”.
Una storia credibile e densa di valori appare invece meno superficiale e consente al consumatore da un lato di percepire l’azienda come solida e mossa da intenti civili e dall’altro di sentirla come una presenza familiare e quindi affidabile. E tutto ciò su basi non meramente pubblicitarie: perciò per questo tipo di messaggio sono importanti i canali delle PR, degli eventi, della pubblicistica on e off line, della informazione economica e sociale, insomma i canali non canonicamente “pubblicitari”.

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2. L’approccio “bottom up”
L’opposto dell’approccio “top down” cioè calato dall’alto lasciando passivi spettatori e consumatori, è la comunicazione “bottom up”, dove si cerca di creare un movimento “spontaneo” che parta dai consumatori, in particolare creando micromode ed eventi attorno a nuovi prodotti, utilizzando soprattutto i social network e il passaparola. Un percorso tipico è attivare, attraverso i social network, situazioni di incontro attorno al prodotto o a una iniziativa sponsorizzata dal brand in cui chi partecipa ha la possibilità di “scoprire” qualcosa di non pubblico o di non ancora noto. Lo scopo è quello di attivare, a partire da queste “esperienze dirette” un passaparola informale che le ricerche hanno dimostrato essere il canale più efficace per generare coinvolgimento e credibilità.
E’ una tecnica utilizzata soprattutto per i target giovani e nelle grandi città, e numerose società di advertising hanno aperto settori dedicati a queste attività. Esempi tipici i concerti brandizzati, i flash mob, gli eventi pubblici, le attività di guerriglia marketing, ecc.

Sei strategie per umanizzare il brand

3. Negozi-brand
Il contatto diretto tra brand e consumatori è alla base della strategia dei negozi monomarca e temporary store, evoluzioni del franchising alla Benetton. L’esperienza di incontro diretto col brand comunica il “mondo” della azienda e i suoi valori, non solo si scoprono i prodotti ma anche la storia del brand, la sua personalitàe filosofia. E’ tipicamente la reazione delle marche tradizionali alla dura competizione che devono affrontare da una parte con le marche nate di recente, che hanno un DNA più attuale, e dall’altra con le insegne della GDO e le private label che hanno il cuore pompante della comunicazione di marca nella presenza fisica e tangibile, nella comunicazione sul punto vendita, nella offerta di servizio, nella offerta di prezzo e occasioni. Ma questa strategia è usata con successo da molti brand di diverse merceologie, dalla moda alla tecnologia di consumo, a conferma che si tratta di una pratica di successo.

4. Trasformare i consumatori in co-produttori
Questa strategia riesce non solo a far sentire i consumatori partecipi dei processi di produzione ma può generare anche veri suggerimenti e idee a costo zero. Precursori furono i negozi-antenna di Sony (da cui nacque l’dea del walkman), e oggi la strategia è praticata con successo in alcuni centri Apple, (per es. quello di Torino) e usa ampiamente il web creando comunità di clienti-consumatori (Ikea è stata tra i primi) attivati non solo per criticare e suggerire ottimizzazioni ma anche per generare nuove idee di prodotto o di servizio, come fa per esempio P&G da anni ( la linea Swiffer nasce da un percorso di questo tipo ). Il consumatore partecipa quindi a una brand-community che lo fa sentire non più una preda ma un attivo “partecipante” al processo produttivo, un protagonista, e come tale ne ricava anche vantaggi psicologici (gratificazioni) e di servizio reale (privilegi).

5. Personificazione del brand
Una strategia “vecchia” ma sempre valida è quella di “personificare” l’azienda: non più il testimonial “esterno” bensì qualcuno che è davvero l’azienda, possibilmente il suo fondatore o capo attuale. Una comunicazione semplice, diretta e efficace. C’è il modo “ruspante” di Giovanni Rana o quello “filosofico” di Steve Jobs, ma dare un volto umano e fisico all’azienda funziona. Perfino Unilever e P&G dopo anni di anonimato stanno cercando di fare emergere il marchio della corporate dietro quello dei brand, e ad esso affidano messaggi valoriali pieni di buone intenzioni verso i consumatori.

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6. CSR, ovvero comportamenti socialmente rilevanti
A partire dai vecchi cartelli “stiamo lavorando per voi” ai moderni e complessi programmi di CSR, stanno crescendo le iniziative di responsabilità sociale attraverso cui l’Azienda dimostra la volontà di rendersi utile alla comunità in cui vive (dal suo quartiere al mondo). I centri studi (da Barilla a quello “storico” di Danone) sono un modo di dimostrare con i fatti che l’azienda non è interessata solo al guadagno, ma che agisce come attore sociale responsabile per il bene comune. Più in generale stanno proliferando tecniche di comunicazione capaci di trasmettere un’immagine di eticità, moralità, impegno sociale e per la sostenibilità, ecc (CSR) che hanno fatto nascere la pratica di redigere il “bilancio sociale”, a integrazione di quello economico.

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Il meeting: da cenerentola a protagonista del branding
Così, sulle tecniche di comunicazione classiche, assistiamo a un forte innesto di strategie meno “retoricamente pubblicitarie” e di modalità di comunicazione più capaci di tridimensionalità reale. E’ il tramonto di un predominio (pubblicità) e la crescita di modalità nuove, il mix di comunicazione si allarga e include forme ancestrali come il meeting e l’incontro fisico che così diventano modernissime. E’ anche per questo che il meeting sta conoscendo, in questi anni di crisi, una contrazione più lieve di tutte le altre forme di comunicazione. Un sentimento positivo da parte delle aziende, le richieste sempre più sofisticate agli organizzatori, la nascita di nuovi operatori più evoluti e consapevoli delle istanze del marketing, la crescita dell’offerta di location meeting sia convenzionali che non. L’anomalia è quella di un settore che progredisce e si sviluppa in tempi calamitosi. Un segnale interessante, che apre a un futuro che non vede l’ora di diventare presente.

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(Photo credits: icponline.it e freedigitalphotos.net)